mercoledì 16 aprile 2014

NEL 1996 QUALCUNO GIA’ SAPEVA COSA SUCCESSO


The End of the Nation State-thumb-316x475-59Era il 1996 quando l'economista ed aziendalista giapponese Kenichi Ohmae descriveva il ruolo nell'economia degli Stati-nazione, Italia compresa. A dir poco profetico, leggendo la sua tesi e comprendendone gli argomenti si può evincere come da almeno 18 anni siamo in ostaggio di uno Stato che aveva già esaurito la sua storia, economicamente privo di senso e tenuto in piedi attraverso finzioni politiche per il solo vantaggio di un apparato corrotto che non vuole lasciar andare il potere.

Del resto anche il chairman e amministratore delegato della Nike Inc. Philip H. Knight sapeva che "Nessuno come Kenichi Ohmae sa prevedere i rapidi mutamenti che investono la scena economica internazionale", definendo il libro da cui ho rielaborato quanto segue "in assoluto il suo lavoro migliore".

"Il vecchio ordine mondiale è andato a pezzi. Gli Stati tradizionali delimitati da confini, il prodotto del XVIII e del XIX secolo, gli Stati-nazione hanno già perduto il proprio ruolo da figure chiave dell'economia globale.

Il fatto che chi manovra le leve del potere favorisca in misura crescente gli interessi particolari e le regioni meno abbienti rende praticamente impossibile adottare politiche sensate e coerenti per la nazione nel suo complesso e promuoverne un ruolo attivo nello scenario più vasto dell'economia senza frontiere. E ciò in un momento in cui la prosperità di un Paese è determinata in misura crescente dal supporto proveniente dall'estero. Non sembra avere alcuna importanza che le analisi compiute di recente dalla Banca Mondiale abbiano dimostrato ancora una volta come il libero scambio e il libero flusso dell'attività economica contribuiscano in ultima analisi ad elevare il tenore di vita di tutti. Le scelte di parte operate dal potere tengono in scarsissima considerazione questo punto di vista. Esse rappresentano solo SE STESSE, non la gente o i suoi interessi.
E seppur comprensibili, le pressioni politiche o le stesse istanze sociali che determinano queste scelte non hanno alcun senso in termini economici. Investire denaro in modo inefficiente non può mai essere la strada giusta. In un mondo senza confini, dove l'interdipendenza economica rende ogni Stato sempre più sensibile all'andamento delle altre economie, si tratta di un approccio intrinsecamente insostenibile.

Ciò che questo complesso di forze ha finalmente portato alla luce è che lo Stato-nazione è divenuto un'unità organizzativa innaturale – addirittura una fonte di disfunzioni – per quanto concerne l'attività economica. Accosta infatti elementi diversi al livello di aggregazione sbagliato.
Che senso ha, per esempio, pensare all'Italia come a un'entità economica coerente all'interno dell'UE? Non esiste un'Italia "media". Non c'è un'ampia fascia di popolazione che in termini socioeconomici si collochi esattamente nel punto intermedio individuato da quei calcoli. Non c'è un gruppo di interesse che tragga particolare vantaggio dai compromessi politici e sia quindi disposto a sostenerli con entusiasmo. Esistono invece un Nord industriale ed un Sud rurale, che differiscono profondamente in ciò che sono in grado di dare e in ciò di cui hanno necessità. Da un punto di vista economico, non ci sono elementi che giustifichino la scelta di considerare l'Italia un'entità con interessi condivisi dall'interna popolazione. Un'ottica del genere, infatti, costringe il manager dell'industria privata o il funzionario pubblico a operare sulla base di medie false, inattendibili e problematiche. Si tratta infatti di dati immaginari che possono avere EFFETTI DISTRUTTIVI.
Ma il problema di base ha radici più profonde. In un'economia senza frontiere, qualunque approccio statistico che scelga lo Stato-nazione quale unità di analisi primaria è per forza di cose obsoleto.
Come tutti ormai dovrebbero sapere, le statistiche ufficiali che tanto interesse rivestono agli occhi dei politici sono in realtà inaffidabili. Ma forse questo è un eufemismo: sono un vero e proprio FALSO. Non rispecchiano fedelmente i flussi reali dell'attività economica. Non rispecchiano fedelmente UN BEL NULLA.

Ma se il monopolio fa acqua da tutte le parti mentre le pressioni dell'opinione pubblica sono molto forti, lo Stato può scegliere di tentare di comprarle in consenso.

Negli ultimi anni, solo facendo ricorso alle armi o minacciando di farlo nel nome dell'"interesse nazionale", i governi sono stati in grado di ignorare impunemente – e comunque soltanto a prezzo di un ulteriore peggioramento della qualità della vita dei propri cittadini – gli effetti corrosivi prodotti sul loro controllo politico dai flussi naturali dell'attività economica in un'economia senza frontiere. E nel nuovo "melting pot" dell'odierna civiltà transnazionale, questi flussi non potranno che diventare più forti e profondi.

La mia tesi è molto semplice: in un mondo senza frontiere, l'interesse nazionale tradizionale – divenuto ormai poco più di una copertura per sovvenzioni e protezione – non ha più una collocazione significativa. Si è trasformato in una comoda bandiera per coloro che, rimasti indietro, non ricercano tanto l'opportunità di rimettersi al passo, ma di frenare il progresso altrui.

La verità, per scomoda che sia, è che in termini di economia globale gli Stati-nazione sono ormai relegati a un ruolo secondario. Per proteggere l'interesse nazionale, si precludono l'accesso ai più potenti propulsori della crescita, gli "Stati-regione".

Gli Stati-nazione, in una parola, sono dinosauri in via di estinzione: non sono più nemmeno in grado di generale una reale attività economica, sono diventati meccanismi inefficienti di distribuzione della ricchezza, la cui sorte è sempre più determinata da scelte di mercato compiute altrove. Ormai è solo finzione politica. Il fatto è che le vecchie abitudini sono dure a morire, e l'abitudine al potere è la più radicata di tutte, spesso non disdegnando il ricorso alla "corruzione". Mentre i governi si aggrappano spesso a miti etnici o nazionalistici, e nuovi Stati nascono come funghi, all'interno dei confini tracciati dalla politica è in atto una rivoluzione."


(cit. varie rielaborate da Kenichi Ohmae, 'La fine dello Stato-nazione: l'emergere delle economie regionali', 1996, Baldini & Castoldi)

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